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  • Davide Perego | Dottore in Scienze e Tecniche Psicologiche

Il teatro e la gestione delle emozioni primarie

“La recitazione è possibile solo in presenza di una serie di funzioni e capacità cognitive, sociali ed emozionali come: la memoria, il linguaggio, il ragionamento, l'apprendimento, il problem-solving, la comprensione degli altri, l'intersoggettività, l'empatia e il controllo comportamentale ed emozionale.” (cfr. Goldstein, in Kemp & MnConachie, 48 2019)

 

Il teatro nasce con la nascita dell’uomo, perché già in antichità, i popoli ricorrevano alle performance artistiche allo scopo di “mettere in scena” manifestazioni rituali legate allo scorrere delle stagioni o per celebrare le varie fasi della vita.

I pigmei del Gabon, alla morte di un loro componente avevano l’uso di mimare in un’opera gli avvenimenti salienti della vita del defunto, così da far rivivere ai presenti quanto compiuto da chi non era più tra loro in una sorta di commemorazione.

Riuscivano quindi non solo a mostrarne le azioni, ma si concentravano nella trasmissione delle emozioni provate in vita, provocando una conseguente emozione in chi osservava.

 

James Borg, psicologo contemporaneo, disse in merito a teatro ed emozioni: “La buona recitazione è quella in cui la perfetta sintonia fra gestualità e comportamento dell'attore da una parte, l'emozione che il personaggio prova o le parole che pronuncia dall'altra, ci inducono a credere nella finzione come se fosse realtà.”

 

Per questo arte della recitazione ed emozione sono indissolubilmente connesse in quanto il pubblico va a teatro perché vuole emozionarsi rispecchiandosi nei personaggi attraverso il meccanismo di simulazione, l’attore mette in scena le proprie emozioni e quelle del personaggio che interpreta e il regista vuole veicolare emozioni alla platea.

 

Le emozioni, o risposte emozionali, vengono definite dallo psicologo americano Ekman, padre della teoria neuroculturale, come “entità discrete, ovvero distinte le une dalle altre con configurazioni ben specifiche a livello espressivo ed esperienziale” e ne individua le primarie che sono:

-         Gioia

-         Tristezza

-         Rabbia

-         Disgusto

-         Sorpresa

-         Paura

 

Lo studio delle emozioni è iniziato nel XIX secolo grazie all'opera di Charles Darwin “L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali” (1872) che ha dato il via a quelle considerazioni teoriche che possono essere definite “psico-evoluzionistiche”, le quali considerano le emozioni innate e universali e frutto di un processo evolutivo.

È proprio Darwin a studiare il ruolo adattivo delle emozioni in quanto secondo lo studioso “le manifestazioni emotive sono residui di risposte un tempo funzionali al processo evolutivo” nei suoi studi a esempio, ipotizza come la risata sia il residuo del ringhio con cui l’animale si prepara ad attaccare.

Le emozioni per lui sono quindi innate e universalmente riconosciute, riproducibili volontariamente e come ipotizzato da numerosi studiosi per gli attori, la terapia nel teatro è proprio qui, nella messa in scena di azioni e corrispettive emozioni che permettono all’attore di “possederle” facendole proprie e trasmettendole andando a esempio a esorcizzare gli aspetti negativi delle azioni aggressive e violente messe in atto in uno spettacolo.

 

Per gli spettatori invece la funzione terapeutica viene ben spiegata dal neuroscienziato Gallese, scopritore della “Simulazione incarnata” (embodied simulation) che consiste in un meccanismo funzionale del cervello che consente di comprendere il senso delle azioni altrui, attraverso il supporto dei neuroni specchio, andando a empatizzare con i personaggi, con le azioni e con le emozioni viste sul palco.

 

Stanislavskij, grazie al ruolo centrale che assegnava all’attore facendolo lungamente lavorare su sé stesso e sul personaggio, venne definito il primo regista-pedagogo, chiedendo all'attore “di essere naturale, reale e non realistico, vero e non verosimile nell'esprimere le sue emozioni”.

Per capire il personaggio e interpretarlo al meglio, ciò che da lui e dai suoi successori è richiesto all'attore come persona, è provare a entrare nei “panni” del personaggio tramite un esercizio di immaginazione e simulazione. L'analisi di Stanislavskij prevedeva di segnarsi i gesti, le intenzioni e le sensazioni, oltre alle motivazioni e agli obiettivi del personaggio, basando quindi il suo metodo sull’interpretazione emotiva e psicologica del personaggio.

 

Per questo il team di gattostizzito, ritiene che sia utilissimo utilizzare il Role playing all’interno dei laboratori teatrali per combattere la violenza nei giovanissimi, permettendo loro di esperire in forma di simulazione, situazioni che potrebbero realmente incontrare nella vita quotidiana.

Per aiutarli a combattere i fenomeni di violenza e di bullismo, l’obiettivo primario deve essere quello di promuovere la consapevolezza del problema, sviluppare l’empatia e comprendere le emozioni della vittima, riflettendo inoltre sulla responsabilità sociale degli osservatori, focalizzando maggiore attenzione in primis all’emozione primaria della RABBIA e in secundis creando delle scene in cui i giovani possano confrontarsi con i ruoli di attori della violenza, vittime della violenza e società che osserva (e interviene).

 

Il focus pedagogico si avrà nell’unire i partecipanti nel provare a delineare una possibile soluzione che consenta alla vittima di trovare aiuto, al bullo di non trovare conferme e agli osservatori di essere parte attiva dell’azione o ancor meglio protagonisti dell’azione perché la società quando comprende di essere protagonista: interviene, protegge, recupera e risolve.


Davide Perego

Dottore in Scienze e Tecniche Psicologiche

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