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L’AGGRESSIVITÀ SECONDO IL MODELLO PSICANALITICO

Davide Perego | Dottore in Scienze e Tecniche Psicologiche

Lo psichiatra Storr nel 1968 nel suo saggio “Human Aggression” definisce l’aggressività come una “parola valigia” in quanto capace di contenere al suo interno molteplici significati spesso in controtendenza tra loro, basti pensare a cause, conseguenze e manifestazioni che l’oggetto di studio porta con sé.

 

Prima di affrontare l’excursus di Freud, padre della psicanalisi, in merito all’argomento è bene chiarire che non fu mai soddisfatto, vista l’ampiezza del tema, dei suoi pensieri in merito; tanto che nel 1937 due anni prima di morire scrisse a Marie Bonaparte a proposito dell’aggressività: "L'intero argomento non è stato trattato a fondo, e ciò che ebbi a dire in proposito nei miei scritti precedenti era così prematuro e casuale da meritare scarsa considerazione".

 

L’aggressività viene trattata in prima battuta da Freud nel 1899 nel testo “L’interpretazione dei sogni” dove l’attività onirica dei pazienti è spesso caratterizzata da contenuto aggressivo (di punizione, di sadismo, di morte propria o dei propri cari), spiegata da Freud come atteggiamento reattivo, difensivo e funzionale alla soddisfazione dei bisogni che da sempre guidano ogni opera del padre della psicanalisi.

 

È però nel “Caso clinico del piccolo Hans” del 1908 che accenna “tendenze crudeli e violente della natura umanache negli stadi infantili sembrano difficilmente governabili, introducendo quindi un istinto aggressivo e violento nelle prime fasi di vita di ogni essere umano spiegabile in parte come meccanismo di autotutela per contenere la conoscenza della frustrazione.

 

Solo nel 1920 in “Al di là del principio del piacere” e successivamente nel 1929 con “Il disagio della civiltà” pone le radici a un’aggressività figlia dell’istinto di morte “Thanatos” che si contrappone al principio di vita “Eros”, specificando che l’istinto di morte inizialmente rivolto verso se stessi, si devia durante la crescita tramite l’influenza della libido, con lo scopo di creare disarmonia, facendo intendere che sia quindi una componente istintuale originaria; pur lasciando molti spazi di ambiguità come lui stesso ammette, ma che pone le basi per far sì che dopo di lui l’argomento venga trattato da numerosi psicanalisti.

 

Melanie Klein seguì Freud in un concetto di aggressività come istinto innato nell’essere umano causato da un conflitto permanente tra pulsioni di vita e di morte, che dà origine nel mondo interno alla lotta tra oggetto buono, inteso come “amico” e oggetto cattivo, inteso quindi come “nemico”.

 

Un secondo gruppo di analisti, tra cui Anna Freud, Winnicott, Fairbairn e Kohut, si contrappone al pensiero di aggressività come pulsione distruttiva primaria, ipotizzando che la pulsione aggressiva derivi da carenze e traumi che l’individuo vive fisiologicamente durante l’età dell’infanzia e non è da considerarsi come esclusivamente negativa.

 

Proprio Donald Winnicott ne parla in termini di vitalità e motricità "l'aggressività fa parte dell'espressione primitiva dell'amore, ed è legata all'oralità del bambino, all'esperienza sia fisica che mentale della fame, al piacere, al nutrimento e alla sua insoddisfazione, che genera frustrazione, rabbia e ostilità, e desiderio di distruggere proprio l'oggetto di desiderio e di amore".

 

Approfondisce spiegando che solo un’aggressività mal gestita, quindi non accettata, accolta e contenuta, “può diventare energia distruttiva per sé e per gli altri”.

 

Fairbairn, introduce quindi una differenziazione tra aggressività e distruttività che viene appunto da lui descritta come un’aggressività non modificata da una relazione adeguata, rifacendosi quindi vista l’età in cui avviene alle figure genitoriali.

 

Con questa netta separazione siamo quindi a valutare l’istinto aggressivo con duplice valenza, che ci permette attraverso gattostizzito di parlare ai ragazzi aiutandoli a incanalare l’aggressività, che sembra far parte del genere umano e animale, facendo in modo che essa non si trasformi in distruttività in quanto, se dovesse coniugarsi al piacere, costituirebbe un pericolo per se stessi e per la Società.

 

Davide Perego

Dottore in Scienze e Tecniche Psicologiche

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