È utile aiutare i giovani a comprendere il fenomeno della violenza, come prova a fare gattostizzito che è un’iniziativa che nasce con l’intento di contribuire al rafforzamento di una coscienza nonviolenta, con particolare attenzione alle nuove generazioni.
Gli atti vanno sempre analizzati dai differenti punti di vista, a seconda che l’approccio si basi sugli autori o sulle vittime; partendo dall’antropologa Franciose Heritier, che nel 1997 definiva violenza “ogni costrizione di natura fisica, o psichica, che porti con sé il terrore, la fuga, la disgrazia, la sofferenza o la morte di un essere animato; o ancora qualunque atto intrusivo che ha come effetto volontario o involontario l’espropriazione dell’altro, il danno, o la distruzione di oggetti inanimati”.
L’approccio incentrato sugli autori deve avvenire attraverso una disamina oggettiva dei loro atti, delle loro responsabilità, delle sanzioni attese, ma anche e soprattutto della loro riabilitazione, come previsto dal sistema giuridico penale. Il diritto penale offre innanzitutto ai (presunti) colpevoli una garanzia contro l’arbitrarietà e la vendetta privata, in una prospettiva di riabilitazione.
I diritti delle vittime, invece, sono riconosciuti sul piano legislativo con continue modifiche, atte a contrastare un apparente dilagare del fenomeno, tra cui l’introduzione del “codice rosso”; per cui si intende la riforma emanata con legge 69 del 2019, in vigore dal 9 agosto dello stesso anno, intitolata «Modifiche al Codice penale, al Codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere».
La normativa interviene principalmente in tre direzioni: introduce nuovi reati, inasprisce le sanzioni per quelli esistenti e disegna una procedura su misura per tutelare meglio e prima chi vive situazioni a rischio.
Già nel 2016 con la legge n.122/2016 lo stato italiano si caricava di risarcire le vittime di reati violenti o in sostituzione le loro famiglie, in caso il reo non avesse fondi a sufficienza per l’indennizzo facendo emergere dunque una responsabilità sociale in merito all’accaduto.
La società borghese del Novecento era considerata quella del decoro e delle buone maniere tanto che fenomeni quali l’aggressività e il bullismo erano confinati alle classi pericolose, i cui comportamenti suscitavano riprovazione.
Nella società odierna troviamo invece, tra i tanti positivi, anche valori di riferimento effimeri e negativi quali volgarità, ostentazione, e aggressività, che include la mitizzazione di personaggi non educativi, che vengono percepiti (in quanto fatti percepire dalla società) come vincenti. Chiaramente le azioni violente non possono essere considerate come frutto di “colpa della società”, in quanto la responsabilità è sempre personale, ma è necessario porre attenzione a cosa avviene ogni giorno nelle nostre città, che spesso rivedono una risoluzione aggressiva e non pacifica dei conflitti.
Sarebbe utile “bonificare” la terra in cui queste violenze si consumano, iniziando a ripensare al “nostro mondo” non soffermandoci solo sull’evento, ma empatizzando con ciò che è accaduto; perché come recitavano gli antichi “causae eventorum magis movent quam ipsa eventa”, le cause degli eventi turbano più degli eventi stessi.
Davide Perego
Dottore in Scienze e Tecniche Psicologiche
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